Empty Nest Syndrome

E’ ovvio che è normale! I figli crescono e si allontanano. Lo abbiamo fatto noi e lo fanno anche loro.

Noi abbiamo sbuffato, alzato gli occhi al cielo e criticato nostra madre quando, cercando di nascondere gli occhi lucidi, ci pregava di passare più spesso, anche solo un saluto, non c’è bisogno che ti fermi a pranzo se non hai tempo… magari solo per il caffè…

E tu sbuffavi. Devo vivere io! Ho cose da fare non posso mica star dietro a questi piagnistei. Quando sarò genitore sarò un genitore diverso! Mica come mia madre sempre con la lacrima in tasca quando me ne vado o mio padre che rompe perché non chiamo mai.

woodsE poi fai figli. E li cresci applicando nel bene e nel male il modello che hai conosciuto guardando i tuoi genitori. E’ un modello che ti è entrato sottopelle quando eri piccolo e si è nascosto nei gangli, come l’herpes. Si attiva piano piano nel tempo, quando credi davvero di essere stato un genitore diverso, di esserci riuscito, di essere stato in grado di assicurare ai tuoi figli quella libertà, quella responsabilità e quella leggerezza che forse a te erano state negate.

E invece no. O meglio non completamente. Sai che hai cercato di essere diverso. Hai cercato dare ai tuoi figli ciò che di buono i tuoi ti hanno dato ma anche ciò che hanno fallito di darti. Eppure adesso ti senti uguale a loro. Ti senti uguale a tua madre.

Quando i tuoi figli mettono i piedi fuori da casa, ma non per un viaggio estivo all’estero che faceva pure tanto figo quando lo raccontavi alle amiche, no. Mettono piede fuori da casa col biglietto del treno in bocca e una valigia piena delle loro cose nella mano, pronti per andare a studiare in un’altra città. I loro occhi brillano di avventura, di stupore, di curiosità e di inquietudine. La loro stanza è spoglia, stranamente in ordine, nemmeno un calzino per terra, nemmeno una mutanda sulla lampada.

station2Tu sei felice per loro. La loro vita sta cominciando. Hai fatto sacrifici per portarli fino a lì e loro ora stanno spiccando il volo proprio come avevi desiderato che facessero.

Ma la tua gola è chiusa. I tuoi occhi lucidi. Come quelli di tua madre trent’anni fa.

E capisci all’improvviso cosa si prova a vedere allontanarsi un figlio, a vederlo andare verso la sua vita. E sai che non potrai assistere più ai suoi piccoli cambiamenti, soffiare via le nuvole dai suoi occhi, vedere il suo sorriso quando gli porti il caffè. Sapere dov’è durante la giornata, sapere chi vede, chi frequenta, chi ama. Non potrai più proteggerlo.

E capisci che deve, per forza e con urgenza, cambiare il tuo modo di essere madre. Imparare la distanza. Vivere senza di loro facendogli sentire che ci sei sempre. Non serve più fare la spesa tutti i giorni o assicurarsi che non manchi il latte. Serve imparare ad interpretare il respiro dall’altro capo del filo per capire se va davvero tutto bene come ti dicono, per farti star tranquilla.

Serve imparare ad accettare che loro non sono e non devono essere più il centro del tuo mondo.

Serve sforzarsi di imparare davvero a fidarsi di loro, dismettendo per sempre la ricerca del controllo sulla loro vita.

Serve fidarsi della loro saggezza, del loro intuito, della loro tenacia, della loro forza interiore, della loro sfera valoriale, del loro buon senso.

Serve imparare a non rimanerci male quando hanno altro da fare e non hanno né voglia né tempo si stare al telefono con te e raccontarti cosa hanno fatto. E non perché ti amino di meno.

Serve ricordarsi sempre come eravamo noi quando eravamo giovani. Uguali a loro. Il cuore dell’essere umano rimane sempre uguale a sé stesso attraverso i secoli e i millenni.

Ciò che cambia è la consapevolezza di ciò che c’è o meno dentro quel cuore.

Buon cammino ragazzi.

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