Tutto ha una fine. Eccezion fatta per l’Universo e “Un Posto al Sole”, tutto ha una fine. Bisogna farci pace. Accettare questa verità universale.
Ho passato gli ultimi 3 anni vivendo nella paura che arrivasse il Tecnico Acea, quella figura mitologica che quando la chiami non viene, e più solleciti e più ti ignora. Quel bruto che mi avrebbe staccato dal mio infisso sul quale avevo trovato un equilibrio tutto mio, portato via dal calore delle voci intorno a me, strappato a quei fragili e idealizzati rapporti d’amore e d’amicizia che avevo costruito con Petra, Ottavio e perfino quel minchione di Cesare.
Credevo che ormai il tecnico Acea si fosse dimenticato di me e sonnecchiavo, in un’ora qualsiasi di un giorno qualsiasi, sul mio infisso precario ma per me solido come l’Himalaya. E all’improvviso ha gracchiato il citofono e poi il campanello e due uomini in tuta blu sono entrati armati di amperometro, di Ipad e fil di ferro.
Mi hanno staccato dall’infisso e mi hanno messo per terra. Mi hanno spogliato, togliendomi la sciarpa bianca. Io mi sentivo nudo e diverso. Lei mi parlava con voce dolce, dicendomi che sarebbe andato tutto bene, di stare tranquillo. I Tecnici Acea la guardavano come si guarda un malato mentale, chiedendosi forse se ci faceva o se c’era proprio. Poi, mentre mi avvitavano all’interno dell’apposito sgabuzzino, hanno cominciato a prendere parte a quello che per loro era un gioco.
Ma per noi no. Non era un gioco. Io e lei ci stavamo salutando davvero.
– E come se chiama stò contatore? –
– Hamed – ha pronunciato lei con una tenerezza che solo io ho colto.
– Signò, ma perché Hamed c’ha ‘ncerotto attaccato de lato? –
– Per tenergli ferma la maschera di carnevale che ha indossato a febbraio scorso. – lei rispondeva come se stesse parlando del nipote.
– Anvedi, perché s’è pure mascherato a Carnevale? – si scambiavano occhiate di dileggio.
– Certo… si è pure fidanzato con Petra la lavastoviglie, fatto scene di gelosia a Cesare il Frigorifero perché le stava troppo attaccato, discusso di filosofia con Ottavio il contatore del gas e avuto qualche screzio con Elvira la Lavatrice perché consumava troppo… –
In poco meno di mezz’ora sono andati via, sghignazzando e portandosi dietro i miei ultimi 3 anni, lasciandomi chiuso al buio, lontano dalla luce e dai suoni.
E adesso, da qui dentro, ho imparato che tutto ha una fine. Che le cose cambiano e che ciò che perdiamo non torna più. E allora, al buio, dobbiamo sforzarci di recuperare il ricordo facendolo tornare vivo, imparare l’arte dell’Alchimia e trasformare la nostalgia in consolazione, il lutto in gratitudine, il pessimismo in ostinata propensione alla follia creativa, le macerie alle nostre spalle in concime di ultima generazione per i prossimi passi.
E’ l’unica cosa che possiamo fare per continuare a camminare. Percorrere la strada dell’iperbole. Vedere la cosa capovolta, al suo opposto, al contrario, allo specchio, upsidedown, insideout.
Tutto ha una fine. E ciò che finisce non è più. Ma possiamo portarci dietro gli echi di ciò che prima era, per farci compagnia, per scandirci le tappe della strada percorsa, per giustificare a noi stessi la nostra stanchezza, la nostra ricchezza, la nostra allegria. E quegli echi a volte diventano vivi.
E quindi anche da qui, la sera tardi, io sento quel suono che non è eco ma voce viva. Sento un leggero battere su questa porta chiusa e una voce ovattata e cara che mi dice come tutte le sere,
– Buonanotte Hamed, a domani.-
– Sì, Buonanotte anche a te. Buonanotte a tutti, anche ai Tecnici Acea.-







Meraviglia
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