Guardo dal finestrino con un po’ di apprensione come sempre mi capitava quando atterravo in questa città. Siamo a pochi metri da terra e vedo solo acqua trasparente. Ogni volta hai l’impressione di ammarare. Ogni volta hai l’impressione che il pilota si sia addormentato, che la pista non comparirà. E invece compare perché la senti solida sotto il carrello, sempre all’ultimo secondo.
Palermo. Una delle città più belle del mondo. Manco da questa città da tanti anni. Da questa città che amavo e amo ancora visceralmente. Da questa città che è stata un pezzo di vita. Il più importante. Il più bello. Il più difficile. Cosa proverò? Malinconia? Dolore? Indifferenza? Come mi accoglierà Palermo la Dolce a tanti anni dal nostro addio?
Questa città che innamora e sorprende. Una città che sbiadisce le critiche più aspre con la sua bellezza prepotente, incontrastata, indiscutibile, spesso raffinata, a volte sguaiata. Una bellezza che sfocia nella malinconia. A volte fino alle lacrime.
Una città a tratti dimenticata, prosciugata e saccheggiata della sua linfa vitale. Una città del cui sangue si sono nutriti fino all’ultima goccia politici e assassini ma al tempo stesso difesa e adorata da anime rare. Una città che ti stordisce con i suoi profumi. Che ti ipnotizza con i suoi colori. Che ti incute rispetto e soggezione con la sua storia, il suo passato, la sua magia, la sua grandezza, la sua incoscienza.
Un città che ti mette allegria con le sue voci, con il suo dialetto cantilenato dalle reminiscenze spagnole, con le sue vocali nasali e aperte, cui i suoi guizzi fulminanti d’ironia e di poesia.
La sua sporcizia, le sue mura crollate, il suo abbandono si intervallano alle sue vie principali scintillanti, ai giardini curati e riqualificati, ai monumenti restaurati e riaperti alla sete di bellezza.
I suoi quartieri popolari, abitati da vite che hanno poco e di quel poco si accontentano, si
insidiano nei quartieri nobili ancora intrisi del grandeur Gattopardiano. E creano armonie. Nessuno stridore, nessun contrasto apparente. Il diverso convive senza contaminarsi e senza disturbarsi anzi, in una sinergia che commuove e che ammalia.
La sua luce, le sue ombre, la sua saggezza, la sua voglia di vivere e di risorgere. La memoria del suo passato raffinato e lontano. Il suo saper essere sempre diversa e sempre uguale a sé stessa. Lo stesso odore di mare, di pane e panelle, di stigghiola per le strade, di spezie, di pesce, di astrattu, olive, di frutta. Odore mediorientale.
Credevo che mi avesse dimenticato. E invece mi ha accolto con lo stesso caldo abbraccio di sempre, con l’identica dolcezza e potenza. Con la stessa appartenenza di sempre. Non mi hai dimenticata, Palermo mia. Come io non ho mai dimenticato te. E ho capito che l’appartenenza non teme il tempo, non teme il dolore, non sbiadisce. L’appartenenza è un luogo interiore. E’ casa. E’ dove la tua anima è stata abbracciata ed ha sorriso. L’appartenenza non teme rancori. Non teme addii.
Io appartengo a questa città. A questa città dalla bellezza e dalla malinconia devastante.
Palermo che ti entra in maniera ingombrante nel cuore e ci si accomoda per sempre. Palermo che a volte non capisci ma che ti spinge sempre a tornare, ancora e ancora. Palermo che non riesci a dimenticare. Che ti piaccia o no.