E’ nato un acronimo recentemente a casa mia.. poi in questi ultimi giorni mi sono accorta che lo pronunciavano tutti senza saperlo anche nelle altre case, tra i miei amici, nei messaggi sui social, al supermercato, in farmacia e in tutti quei (pochi) posti che riusciamo a frequentare durante questa “Stant’Elena Sociale”.
E’ nato il QTAN (che si legge cutàn, in italiano, please). Tralasciando coloro che non si possono fermare, i sanitari, i commessi, i farmacisti, gli autotrasportatori ecc, ecc grazie ai quali possiamo mangiare, farci la doccia, cucinare crostate e avviare lavastoviglie, siamo tutti immersi nel QTAN.
Il QTAN è una modalità di standby. E’ un modo di immaginare l’azione e la programmazione stando fermi. Il QTAN si esprime al meglio quando cerchi di credere che tutto questo finirà presto, quando immagini il tuo tempo in un modo diverso da quello che siamo forzati a vivere. Quando immagini il ritorno all’azione. Quando proietti l’immagini di te stesso e della tua vita fuori da questo tunnel del quale non si vede la fine.
Quando Torneremo Alla Normalità è il QTAN. Uno spazio in cui galleggi.
Tipo come quando fai il bagno nel mar morto, hai presente? Galleggi, stai seduto su un fluido che ti sostiene senza farti toccare il fondo. Ti sposti lentamente qua e là, giri al rallentatore su te stesso, torni indietro, vai avanti…perdi l’orientamento, ti sembra di non esserti mosso eppure non sei più dov’eri prima. E vaghi… sostenuto da questo fluido caldo e pesante che ti avvolge e che ti sposta.
Quando torneremo alla normalità… pensiamo tutti mentre facciamo pazientemente la nostra fila dal fruttivendolo, immaginando tutte le cose che faremo e che ora a molti di noi (non a tutti) mancano, il ritorno a tutte quelle cose che prima era normale e possibile fare. Ma forse scopriremo che, dopo questo tempo di QTAN, non solo le cose di prima non si potranno più fare nello stesso modo ma che probabilmente ci ritroveremo a non avere nessuna voglia di farle.
Il QTAN è il grembiule che ci mettevamo alle elementari…non solo per non sporcarci sui banchi ma soprattutto per azzerare le differenze sociali da un punto di vista visivo. E’ uno spazio neutro. Senza giudizio e senza velleità, dove siamo tutti uguali e dove tutto è esteticamente permesso. Per le strada giriamo tutti in tuta. Con la nostra borsa della spesa bene in vista come autocertificazione per la nostra sortita, camminiamo in tuta e scarpe da ginnastica. Tutti. I più arditi hanno i jeans. I più vintage la tuta in acetato. Non si vede più in giro un tacco, una gonna, un capo griffato, non c’è più differenza apparente. Potresti uscire con la tinta in testa e nessuno si sconvolgerebbe. Anzi, forse qualcuno ti fermerebbe chiedendoti timidamente “scusa, dove ha comprato il pettine per la tinta? Da Acqua e Sapone li hanno finiti…tutti a fasse ‘a ricrescita, ahò!!” .
E ho scoperto che questo mi piace.
Il QTAN un cancello che dà sul nulla. E’ le strade vuote, i rumori ovattati. Quella sensazione di “The Day After” che ti fa sentire solo nella galassia, immerso in una quiete purtroppo a volte rotta da sirene di ambulanza. E ti senti come in una domenica di ferragosto in città.
Il QTAN è un sacco di tempo a disposizione che all’inizio non sapevi come riempire e adesso invece non ti basta più. Arrivi alla sera che non hai fatto metà delle cose che ti eri ripromesso di fare e non capisci il perché. Perché il mondo ha rallentato…e ha rallentato anche te.
E ho scoperto che questo mi piace.
Il QTAN è una visualizzazione ad occhi aperti. E’ una meditazione inconsapevole. Un cambiamento delle coscienze lento, silente, caparbio e invisibile, come un fiume carsico.
Io ho paura che dopo, quando la modalità QTAN sarà passata, a parte le vittime e il dolore che questo virus si sarà lasciato dietro, molto di questa assurda situazione ci mancherà. Questo galleggiare, questo perderci e ritrovarci mille volte nella stessa giornata, questo aspettare trepidamente il tramonto per vedere la luce dorata della primavera romana sopra i palazzi di fronte, questo navigare a vista senza astrolabio, questo provare ad immaginare un altro futuro e un altro presente, ci mancheranno.
A me, tutto questo, mancherà.