Las Vegas, Pride and Prejudice

Quando arrivo per la prima volta a Las Vegas il 18 agosto 2014 storco la bocca pensando “questa città non è per me”. Sono le 3 del pomeriggio. Una temperatura assurda, un’arsura che sale dalla sabbia sotto ai piedi, un vento caldo che porta briciole di deserto. I miei occhi protetti dagli occhiali da sole. Lascio le valigie al Golden Nugget e via, di corsa alla Strip. I soliti casinò, la solita finzione. Quasi un set cinematografico, tanto valeva andare a Cinecittà, mi dico, ci sarebbe stato pure meno caldo e meno bipedi vocianti in giro. Poi cala la sera e si accendono tutte le luci del mondo. Sono stanca, il viaggio è stato lungo, non ho nemmeno fame, torno in albergo. Una doccia rigenerante e mi rigetto come un piccolo affluente nel fiume di persone che invade Fremont Street.

Senza i Ray Ban però, adesso vedo un altro mondo. Con il buio Las Vegas si è tramutata da “assurdo Lunapark per adulti disturbati” in un luogo privilegiato, quasi un archivio storico vivente in cui tutte le sfumature dell’animo umano prendono una forma visibile.

fremont

Seduta da sola su un marciapiede con una birra gelata in mano guardo per ore, estasiata e ammirata, l’umanità mentre esercita con gaiezza il proprio diritto alla libertà.

E’ questo, non le luci o i casinò, il vero richiamo, profondo, di Las Vegas. Un fascino percepibile solo se si riesce a guardare Sin City senza Pregiudizi. Solo se facciamo lo sforzo di sospendere il Giudizio. Su quei 460 metri pedonali di Fremont Street ci sono persone che si mettono a nudo (nel vero senso del termine talvolta) e si presentano per come davvero si sentono. Lì tutti hanno la possibilità di essere quello che vogliono. Lì non esistono convenzioni. Non esistono regole né esplicite né implicite, non esistono abbigliamenti consoni o meno, non esiste il giusto o lo sbagliato, non esiste il ridicolo, non esiste il giudizio. E’ una sensazione straordinaria alla quale non siamo abituati, schiacciati come siamo dalla paura di ciò che l’altro pensa di noi a tutti i livelli.

viadalasvegas

Lì possiamo invece essere ciò che vogliamo essere, quello che sogniamo di essere, quello che avremmo voluto provare ad essere. Possiamo fare ciò che nella nostra realtà abituale non ci concediamo di fare per timore del giudizio interno ed esterno. Si ha la sensazione di essere trasparente perché nessuno ti guarda, nessuno è interessato a te. Un luogo che vive Orgoglioso della sua assenza di Giudizio. Un luogo che ospita sogni e desideri, trasgressioni, follie. Un posto dove puoi vedere anime nude. Un posto dove le persone escono fuori in tutta la loro Verità. Vere le loro debolezze, vere le loro solitudini, vere le loro sconfitte, veri i loro desideri. Proprio come in Via da Las Vegas, anime che posano le armi e scelgono semplicemente di Essere e di arrendersi alle proprie inclinazioni. Vedere quel film vent’anni fa, prima di conoscere Las Vegas, mi impressionò molto. Rivederlo dopo quella notte a Fremont mi ha fatto far pace con le debolezze umane. Le luci di Las Vegas in quel film sono intrise di velleità e di sconfitte e la voce di Sting che canta il pezzo Jazz My One and Only Love sopra gli occhi chiusi di Nicholas Cage è semplicemente indimenticabile.

Un amico prima che io partissi per gli USA mi aveva detto “Las Vegas è bella proprio perché è tutto finto”.

Si sbagliava. Mi sbagliavo anch’io.

Las Vegas è magica proprio perché è tutto Vero.

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