La Superga dell’Olimpico

Ho aspettato un pò prima di scrivere questi sentimenti che premevano dentro. Ho aspettato che si ridimensionassero, che la razionalità riprendesse la guida interiore e mettesse ordine e priorità nelle emozioni. E invece sono passati due giorni e ancora un senso abbandono, di fine, di rabbia. Come mai la mia intelligenza, la mia concretezza, il mio buon senso non riesce a mettere fine a questa commozione viva e lancinante, a questo piccolo grande dolore in un angolino del mio cuore giallorosso?

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Uno dei primi racconti che, ricordo, mi faceva mia madre era quello di un giorno di maggio, quando aveva 16 anni, a Torino. Mia madre viveva lì. E quel pomeriggio era accoccolata sulle scale della villetta, aspettando che tornasse suo padre dal lavoro. Lui la trovò in lacrime, un pianto disperato, inconsolabile. E’ successo qualcosa ad uno dei tuoi fratelli? E’ morto qualcuno? Ma lei gli urlò che no, anzi sì, è morto di più di un fratello! Come fai a non capire, gli urlava quando lui cercava di calmarla. Sono morti tutti, non ci sono più, non ci saranno più…sono andati via per sempre!! Pianse per giorni. Per mesi.

Mia madre ricordava, raccontandomelo, quel dolore profondissimo e inspegabile. Un senso di abbandono, mi diceva, un lutto profondo. Come se ti avesse abbandonato una madre, se ti fosse morto un padre. Come se ti avessero derubato di qualcosa di prezioso e insostituibile, a metà strada fra l’inarrivabilità del mito e la semplicità di uno di noi. Qualcosa di tuo. Profondamente tuo. Visceralmente tuo.

Che cosa è allora che porta noi, persone mediamente intelligenti, che driblano quotidianamente tra barconi di migranti in fin di vita, stupri, infanticidi e spread alle stelle, a sentirci lacerati alla vista di DDR16 che fa il giro di campo e ci dice addio? Che cos’è questa Roma per noi? Questa Roma che ha vinto poco, che ha deluso tanto. Che ci ha fatto piangere lacrime che ancora bruciano con il Liverpool e con il Lecce. Che cos’è questa cosa che solo un Romanista nato a Roma non può fare a meno di provare? Se lo chiedeva anche Venditti in Grazie Roma, “Dimmi cos’è…”

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Questa Roma è un innamoramento per sempre. L’innamoramento per un partner o per un lavoro prima o poi finisce, diciamocelo, questione di tempo. Ma l’innamoramento per Lei no. Alzi la mano chi di voi si sente il cuore tachicardico e il fiato corto quando vede il proprio partner TRENTENNALE spuntare all’improvviso davanti a voi. A nessuno, ve lo dico io, a meno che non siate in compagnia del vostro amante. Ma con Lei Sì. Con Lei succede eccome! Ancora dopo innumerevoli anni, quando vedi quella maglia uscire dal tunnel sotto la Monte Mario e disporsi in campo saltellando e salutando, il tuo cuore accelera i battiti, si gonfia, esplode di gioia e tu ti riconosci in Lei. Quelle 11 maglie sono te. Sono la tua parte più profonda. Non sai spiegarlo ma, è un amore totale. E tu quando Lei entra in campo, tu glielo urli che la ami, senza remore e senza pudori. Lei ti consente di farlo. A nessun altra persona al mondo ti sogneresti mai di fare tali dimostrazioni di amore senza venir preso per uno squilibrato mentale e finire con la camicia di contenzione. Ma a Lei Si. Su quegli spalti sì, si può.

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E i “simboli” che ho amato negli anni e ai quali ho detto addio, Da Falcao con le sue spalle aperte e il mento in alto, toccava la palla e pareva che volasse sull’erba, a Di Bartolomei con le mani sui fianchi e un ginocchio piegato in attesa di battere la punizione, che in genere non sbagliava, a Conti che correva, correva, correva e alla fine segnava, si sono riuniti tutti lì domenica sera. A dire insieme a me, insieme a noi, addio agli ultimi simboli di una Roma che non sarà mai più la stessa. Una Roma che c’hanno portato via. A una Roma meravigliosa e generosa, sprecona e irriverente, superiore alle sconfitte, ogni volta rigenerata e sorprendente. A una Roma che faceva battere il cuore perchè giocava col cuore, era TUTTA cuore, nel bene e nel male. A una Roma che con i suoi Totti e i suoi De Rossi ha creato un modo di essere, che c’abbiamo solo noi, Romanisti de Roma. Un nuovo neologismo per descrivere quanto si può amare, soffrire, perdonare, sostenere, motivare, piangere, dimenticare, venerare, illudersi, sognare, cadere, ricominciare, infortunarsi e risorgere. Il Romanismo.romanismo

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Uno striscione domenica sera all’Olimpico recitava “Danielì, te vojo più bene che a mì madre!” E il buffo è che ce credo. E’ vero. A loro se perdona tutto. Con un genitore, un figlio, un partner, un amico i tuoi momenti di irrigidimento e la tentazione di mandarlo a cagare ce l’hai. Ma cò loro no. Nemmeno quanno stamo a perde. Nemmeno quanno nun imbroccano ‘mpassaggio, nemmeno quanno se fanno fà gol dal portiere avversario su rimessa. A loro je perdoni tutto. Perchè loro sò La Roma. Loro sò er core tuo. Loro sò loro. Sempre e per Sempre.

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