Non andavo a teatro da un sacco di tempo. Il Teatro, come il Cinema, è sempre stato per me un salvavita, come un antibiotico o l’insulina, un siero antivipera, o il Ventolin o il cortisone… Dovrebbero mettere il Teatro e il Cinema in fascia A, come i farmaci rimborsati dalla Mutua. Dovrebbe passarli gratis lo Stato.
In una vita quotidiana che ci porta via la vita, che ci impone spesso di correre senza pensare, senza fermarci ad “ascoltare”, di abbandonarci ai nostri rallentamenti fisiologici alla lunga, e manco tanto lunga, finiamo per non “sentire” più.
Sentiamo solo una grande, enorme stanchezza. Una vaga malinconia, una nostalgia di qualcosa che ci manca e non sappiamo cos’è. Un vuoto. Un piccolo vuoto che risuona costantemente. Affrontiamo la vita quotidiana e le sue difficoltà, le rogne, i contrattempi, le preoccupazioni e le scadenze con coraggio, facendo fronte sempre e continuamente, attingendo alle nostre risorse che sono sempre più in rosso. E ci sentiamo stanchi. Tremendamente stanchi. Cronicamente stanchi. Appannati e spossati.
Come stai? Mi chiedono spesso. Bene, rispondo. Sto bene, sono solo molto stanca… e mi odio da sola per la risposta che do ogni volta. Sono stanca di essere stanca. Sono stanca marcia di arrancare. Perché sono sempre così stanca?
Ieri sera, uscendo da un teatro piccolo e raccolto, in una serata romana meravigliosamente mite, pur essendo già le 22.45, orario in cui in genere io sono già nella seconda fase REM, mi sentivo felice e piena di vigore. Sorridevo, pervasa da una serenità e una pienezza irragionevoli. Non avevo sonno. Non mi faceva male la solita protrusione che in genere mi tormenta quando sono sul divano di casa. Camminavo più dritta, più leggera e ben disposta verso il mondo intero.
Da quel primo, piccolo rumore che non so definire, il mio cuore aveva ricominciato a battere più veloce. Quel rumore soffocato, di legno vissuto, che si scricchiola sotto il piede del primo attore che entra in scena. Quel rumore caro e familiare, indefinibile, difficile da descrivere. Bisogna solo sentirlo per coglierne la potenza.
Quello spettacolo mi aveva toccato svariate parti dell’anima come un’auto a scontro fuori controllo. Aveva scatenato improvvisamente delle emozioni potenti. E quelle emozioni, come tanti fili di luci a led avevano acceso una dopo l’altro i miei recettori vitali. Quello spettacolo, come un defibrillatore, aveva rimesso in moto il mio cuore e tutti i moti dell’anima che durante il giorno tendiamo a mettere da parte, perché poco funzionali alla vita che ormai facciamo tutti. Aveva risvegliato dentro di me Il Sogno, il Ricordo, la Magia, la Fantasia, la Commozione, l’Indignazione, la Speranza, la Rabbia e la Pietà… tutta robetta dentro di noi depotenziata e silenziata, perché troppo ingombrante e troppo energy-consuming.
Emozioni primordiali che, quando risvegliate, ci rimettono in contatto con il nostro cervello antico, con l’essenza della vita, con la nostra natura istintuale. E ci corrono nelle vene e ci scuotono dal torpore. Ci attraversano i neuroni come in un elettroshock e ci fanno temporaneamente uscire dal coma per ricordarci che siamo ancora vivi, ancora teneri, ancora in cerca di un sogno, ancora assetati di riscatto e di giustizia, ancora inclini alla bellezza e all’arte.
E allora ho capito che quando mi sento intorpidita, quando mi sembra di non desiderare più niente tranne un letto su cui riposare, quando i sensi mi si appannano…devo farmi forza e andare a cercarmi un elettroshock, devo andare a cercarmi qualcosa che mi ricordi che sono viva e forse anche un pò selvaggia. Devo andare a nutrirmi. A risvegliarmi. Devo andare a teatro. O al cinema. O a un concerto. I quei posti dove le emozioni sono permesse. Dove le emozioni sono risvegliate, scosse, strattonate a forza e riportate in vita. Dove le emozioni rinnovano le cellule del cuore e del cervello.
Ed uscire dal teatro sentendomi innamorata.
E ringraziare Iddio di quanta bellezza c’è in questo mondo, anche se spesso dobbiamo faticare per trovarla.