Non guardo quasi più la Televisione. Magari le partite della Roma. Il TG3, l’1 e il 2 in sequenza. Montalbano sempre. Qualche fiction RAI come quella su De Andrè, Bartali o Olivetti. Fiction che raccontano di creatività, del coraggio di andare controcorrente, della forza di spezzare gli schemi, di umanità.
Ma da un po’ di tempo mi scopro a cercare trasmissioni che in altri tempi avrei definito stucchevoli e manipolatorie e liquidato come “rubbish”. Parlo per esempio di “Non ho l’età” su Rai3, un docu-reality che racconta la vita vera di persone in là con gli anni che dopo una vedovanza, un divorzio o comunque una solitudine o un dolore, tornano ad inciampare nell’amore. Un amore maturo, e proprio per questo più equilibrato, inaspettato e proprio per questo più commovente e regalato al fotofinish quando già si pensava a prenotarsi una camera a Villa Arzilla, e quindi proprio per questo più prezioso. E piango. Piango come una vite tagliata. E li invidio e li ammiro. E sono felice per loro. E mi sforzo di provare ad immaginare cosa si prova. E a volte ci riesco.
Oppure come “Boss in Incognito”, sempre sulla RAI, in cui il capo alla fine “vede” il proprio dipendente come essere umano in tutte le sue debolezze e le sue forze e lo abbraccia, lo accoglie, lo sprona e lo premia. E anche lì, piango come un vitello. Quasi quasi è solo per quella manciata di trasmissioni che pago con piacere il canone che mi ritrovo addebitato sulla bolletta.
A trent’anni in genere ti commuovi per altre cose: una finale di Champions League, quando trovi le tue scarpe preferite in saldo, l’accredito del premio di produzione in busta paga. Dopo i cinquanta ti commuovi per cose strane…una gentilezza che qualcuno ti fa sull’autobus, uno sconosciuto che ti copre con il suo ombrello mentre sei in strada sotto la pioggia, un adolescente che si offre di aiutarti portare fino al portone qualcuna delle tue solite diciotto borse della spesa. A cinquant’anni torni a commuoverti per le favole. Le favole moderne, in cui il miracolo accade, in cui il Deus ex machina della tragedia greca arriva inaspettato per risolverci la vita. Un Deus ex machina che riconosce i nostri dolori, i nostri segni antichi, perdona le nostre debolezze, potenzia i nostri punti forti, cancella il nostro passato che non ha funzionato.
Un qualcuno comparso inaspettatamente che legge la nostra anima e l’accarezza, elogia le nostre abilità che noi stessi non abbiamo mai riconosciuto o che non abbiamo mai avuto l’occasione di mostrare, ci abbraccia, ci comprende, ci regala una magia. E ci premia non per ciò che abbiamo fatto ma semplicemente per ciò che siamo. Anche se non siamo perfetti come il mondo ci vorrebbe, lui ci premia. Anzi, ci dice che andiamo bene così e che possiamo migliorare, se vogliamo, e ci regala i mezzi per farlo. E ci dice che ‘mai dire mai nella vita’, che ancora possiamo aspirare a cose bellissime. Un miracolo che ci dà un’altra occasione in un mondo che corre veloce e che ci ricorda, spesso e inevitabilmente, tutte le occasioni che abbiamo perso.
Le favole fanno leva sulle nostre emozioni più antiche. Le emozioni, che sono l’unica prova della nostra esistenza in vita, ci nutrono e ci rialzano. Ci destabilizzano eppure ci ricentrano. Proiettarsi nelle favole fa bene, fa bene immaginare e fa bene commuoversi. L’empatia e l’immaginazione creano miracoli perché ci fanno diventare protagonisti di una dimensione in cui tutto è ancora possibile. Continuiamo, vi prego, a commuoverci per le favole moderne. Continuiamo a credere che c’è un Deus ex Machina anche per noi, nascosto da qualche parte, pronto a saltare fuori in qualunque momento. Continuiamo ad aspettarlo. Ognuno ne ha uno. Dobbiamo fidarci.
Continuiamo, vi prego, la nostra battaglia quotidiana al grido silente di “Deus ex machina per tutti. “