La Traslazione del Limite

Nel brano che segue troviamo Otilia mentre racconta al Dr. Colantuoni (il suo psicoterapeuta) la sua sindrome compulsiva, quella sindrome che hanno le mamme con figli piccoli (o almeno così ero convinta).

Con gli anni ho scoperto invece che non riesci mai a sconfiggere del tutto questa sindrome perché ti perseguita latente e strisciante anche quando i figli sono grandi. I miei ragazzi ormai sono cresciuti e quando mi vedono in sindrome da onnipresenza mi ridimensionano senza pietà con “A ma’, scialla!” Io razionalmente capisco che mi vogliono dire di rilassarmi perché non c’è più bisogno di essere onnipresente e onnisciente, di programmare, di organizzare, di tenere sotto controllo, di essere sempre sul pezzo. No. Non c’è più bisogno. Eppure, ora che sono grandi ho capito che di “esserci sempre” ne ho bisogno io. Non loro.

Ma cos’è, mi chiedevo, questo urgente bisogno di stare a casa quando ci stanno loro? Anche se non li vedo. Mi basta sapere che ci sono, chiusi nelle loro rispettive stanze. Mi basta sapere che loro sanno che io sono in casa.

Perché questo assurdo e malsano magone che mi prende quando esco a cena fuori mentre loro rimangono a casa? Eppure sono proprio io che li spingo ad andare, viaggiare, lavorare, conoscere, fuori, fuori, fuori di casa, via! Verso luoghi nuovi da conoscere, verso nuovi amori, verso serate con amici, verso il cinema di qualità, verso lavoretti, possibilmente leciti, che permettono di sentirsi mentalmente ed economicamente autonomi. Allora perché? Perché nel mio cervello è tutto normale se loro vanno verso le loro esperienze mentre io rimango a casa, ma non va bene quando devo andare io, lasciandoli a casa? Mi dispiace che siano soli, il mio cervello ripete. Mi dispiace. Un dispiacere irrazionale, profondo e inconsolabile.

Forse perché c’è la consapevolezza dei pochi anni che rimangono. C’è un senso del precario che prima non c’era. Forse perché me li sento sfuggire di mano. Perché il mio ruolo “organizzatore” non gli serve più. Si organizzano perfettamente da soli. Anzi, anche meglio. Perché è difficile cambiare pelle, perdere la muta. Passare da un ruolo ad un altro, rimanendo genitore. Fare il salto. Mollare la presa. Prendere, rispetto ai figli, una posizione laterale piuttosto che avanzata. Passare da genitore onnipresente a genitore che c’è ma non si vede. Una figura di sfondo che resta protagonista anche se è ormai un gregario col magone.

 

51+rmOe5fKL._SX355_BO1,204,203,200_[1]“… Comunque la mia autostima è nettamente aumentata, dottore, sono riuscita a scardinare la Sindrome Compulsiva da Traslazione del Limite.»

«Prego?»

«No, dico, sono riuscita ad avere la meglio sulla sindrome…»

«Sì, sì, ho capito, Traslazione del Limite… che strano, non ne ho mai sentito parlare… deve essere qualche scuola di pensiero scandinava…» Colantuoni rimuginava tra sé.

«No, ovvio che non ne ha mai sentito parlare, l’ho concepita io!»

Colantuoni si arrese. «Ah, ecco! Allora me la enuncia, per favore?»

«Dunque, la sindrome compulsiva da Traslazione del limite affligge le madri affette da ossessione da superdonna Nietzschiana durante l’esercizio delle cure parentali. Lei faccia conto di essere una mamma… ce la fa? Riesce a sentirsi una mamma?»

«Ci provo…» lui chiuse gli occhi per riuscire a concentrarsi meglio.

«Bene. Allora lei è una mamma e sta portando suo figlio in piscina, in uno spogliatoio pieno di panche umidicce e sulle quali non puoi sederti perché sono piene di borse, frequentato contemporaneamente da un centinaio di persone che respirano in una temperatura media di 42 °C satura circa al 95% di umidità.»

Colantuoni già boccheggiava.

«Lei deve spogliare suo figlio, che chiaramente si dimena come un’anguilla, inguainare nel costume, calzargli la cuffia di silicone in testa, il che non è una cosa facile come potrebbe sembrare ad un profano. Bene, ha fatto tutto. Adesso, prima di entrare in vasca suo figlio ha venti minuti di riscaldamento nella palestra sottostante la piscina, quindi lei ha venti minuti liberi…»

«Perché, scusi,» la interruppe Colantuoni profondamente calato nella parte, «non sono libera mentre lui è in vasca?»

«Ma sta scherzando? Non si può allontanare di un metro dal vetro che la separa dalla pozza d’acqua nella quale sguazza suo figlio. Lei deve stare lì, guardarlo, seguirlo con gli occhi che si muovono a destra e a sinistra come agli internazionali di Tennis, sorridergli, fargli OK con il pollice e l’indice che si toccano a tondo quando lui riesce a fare le bolle sott’acqua, mandargli baci a raffica quando si mette la mano sulla pancia e ti guarda con gli occhi da cocker e tu dal suo labiale esageratamente scandito capisci: VO GLIO U SCI RE; HO MAL DI PAN CIA… No, non se ne parla nemmeno, non si può muovere, deve stare lì, inchiodata dietro al vetro.»

«Ah, ecco… allora ho solo venti minuti…» Colantuoni sembrava sgomento.

«Sì. E proprio in questi venti maledetti minuti scatta la sindrome compulsiva. Non si può star lì con le mani in mano, no? Ci sono un sacco di cose da fare! Allora lei esce dalla palestra e si scapicolla dal corniciaio per scegliere la cornice dell’illustrazione che tiene sulla mensola da sei mesi, dopo aver scelto la cornice, sempre di corsa e in modalità “ANSIOSA”, schizza al supermercato all’angolo per comprare il latte fresco…che non sia mai che i bambini l’indomani debbano bere il latte a lunga conservazione, noooo, orrore! Allora però, si chiede nei suoi rari sprazzi di lucidità, perché lo tiene sempre pronto in dispensa quel dannato parallelepipedo di tetrapak del latte a lunga conservazione, se poi si ammazza per far sì di non averne mai bisogno? Che poi scade, lei lo butta, ne compra un altro nuovo che inevitabilmente scadrà e verrà buttato? Bene, riesce a comprare pure il latte fresco e torna trafelata al vetro della piscina. In tutto undici minuti. Accidenti, è stata brava… adesso le avanzano nove minuti per stare con le mani in mano… crede che se lo concederà? Nooo… pensa subito che la prossima volta invece di due commissioni potrà farne tre, tanto il tempo c’è.

Ed ecco che sta traslando il suo limite. Sta spostando sempre più in avanti il suo limite personale, il limite che la separa dall’isteria, dalla cardiopatia, dal collasso nervoso. La volta dopo infatti, farà tre commissioni, sempre più di corsa e sempre più in affanno e tornerà al vetro della piscina soddisfatta del fatto che ci ha messo solo diciotto minuti. Bene, si può traslare un altro po’. La prossima volta riuscirà a farci entrare ben quattro commissioni, mentre la sua pressione arteriosa salirà vertiginosamente e il bolo isterico le si sarà sedimentato in gola per sempre. Ma non importa. E’ riuscita a traslare ancora una volta il suo limite, spostandolo un po’ più avanti e questo, chissà poi perché la rende fiera di sé, come se vincere questa lotta contro il tempo fosse una questione di vita o di morte, come se tutti stessero guardando lei come nel GRANDE FRATELLO e scoppiassero in un fragoroso applauso ogni volta che riesce nella sua impresa. E invece non la guarda nessuno, giustamente per altro, oserei dire, e nessuno si accorge della sua fatica improba e di tutte le cose che è riuscita a fare. Ma non importa, lei non può fare a meno di comportarsi in questo modo patologico. E infatti questa sindrome è compulsiva, è più forte di lei, non riesce a controllare il desiderio di fare sempre più cose in un tempo sempre più breve, lo deve fare per forza, anche se si rende conto che questa cosa non le fa per niente bene alla salute. E’ chiaro fin qui?»

Colantuoni seppe rispondere solo dopo un breve secondo.

«Ho bisogno di bere un po’ d’acqua, mi sento sfinito al solo pensiero di tutte le cose che mi ha fatto fare in soli diciannove minuti…»

«Ah, bene, ha capito, allora! Ecco io sono riuscita a fermare questa sindrome… e a starmene con le mani in mano per tutti e venti i minuti, conversando con le altre mamme di futilità senza sentire nemmeno l’ombra del senso di colpa. Non è meraviglioso?»

«Assolutamente! E’ stata molto molto brava.»

«Vero? Al principio ho dovuto legarmi alla sedia come Vittorio Alfieri,-  volli volli volli fortissimamente volli – poi piano piano ci ho preso gusto! E’ come uscire dal tunnel del gioco d’azzardo. E’ duro uscirne ma una volta fuori ti rendi conto di quanto ci guadagni!»

 

Tratto da “I Malamanager” (A. Puglielli – Iacobellieditore, 2011) http://www.iacobellieditore.it/catalogo/i-malamanager/

 

 

 

 

 

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