Sei, Mille, Centomila Guerrieri

Le scuole sono ricominciate. Frotte di giovani  si aggirano per le strade  con lo zaino sulle spalle. Gioventù che cresce, che studia, che si impegna, ognuno come sa, come può e come sceglie.

Questi giovani spesso bistrattati, etichettati a torto o a ragione come “sdraiati”, confusi e bombardati dai non-valori che il mondo di oggi sparge a piene mani sono, però a mio avviso, straordinari.

Parlo spesso con i giovani. E loro parlano con me. Si aprono, si raccontano, si affidano e si fidano. E ogni volta mi trovo davanti una gioventù bella, emozionante, tutta da scoprire. Ragazzi con un potenziale umano raro, con una resilienza straordinaria, con una fragilità che commuove, con una sete di appoggio e di accoglienza profonda, con una sfera valoriale sana. Certo, non tutti. Ma tanti. Tantissimi. Molti di più di quanto sospettiamo.

Li vediamo aggirarsi per le strade con i loro berretti storti e le magliette griffate, i loro piercing e i loro tatuaggi, i loro tacchi alti  e le loro borsette vintage e troppo spesso li giudichiamo dal loro aspetto esteriore (così come facciamo con gli adulti). Se solo ci fermassimo a parlare con loro e a chiedergli di raccontarci un po’ della loro vita, scopriremmo anime bellissime e forti. Impaurite e volitive allo stesso tempo, confuse e lucide insieme, superficiali e profondissime, sfiduciate e determinate al tempo stesso.

La gioventù, da che mondo è mondo, è caratterizzata dalla contraddizione, dall’incongruenza,  dagli estremi. Qualcuno, a torto, ci ha ficcato in testa che diventare adulti significa abbandonare la contraddizione invece di usarla come cassa di risonanza interiore, significa liberarsi dalla disubbidienza invece di farne la propria unicità, significa aborrire gli estremi invece di imparare a viverli come parte integrante della nostra umanità e quindi senza sensi di colpa. Peccato.  Così di cresce soltanto, non si diventa adulti.

C’è un ricordo che mi porto dentro e che nutre quotidianamente la fiducia in questa straordinaria gioventù. Il ricordo di una cosa accaduta tre anni fa, quando mio figlio Francesco era in terza media. Me la porto dentro questa storia. E mi scalda, mi commuove ancora dopo anni, mi chiude la gola. Non riporto di proposito i nomi dei Sei Guerrieri, anche se sono scolpiti nel mio cuore, perché quei Sei Guerrieri hanno il nome di tutti i giovani di oggi. E non sono solo sei… sono decine, centinaia, migliaia… tutti intorno a noi, nascosti sotto i loro berretti girati.

Successe che un giorno una compagna di Francesco smise di lottare. Smise di uscire, smise di andare a scuola, smise di alzarsi la mattina.  Forse un dolore troppo grande, forse un senso di solitudine troppo forte. Chissà. E comunque per molti mesi non andò più a scuola. Familiari, Professori, Dirigenti Scolastici, Adulti, Servizi Sociali non riuscirono a smuoverla. Ma alcuni compagni di classe di questa ragazza un giorno decisero che siccome gli adulti non riuscivano a fare molto, dovevano fare qualcosa loro.

Chiamarono il papà della compagna e chiesero il permesso di andare a casa il sabato mattina successivo. Alle otto sarebbero stati lì. Sei guerrieri. Al posto dell’elmetto il berretto di lana perché era inverno, al posto dei fucili degli occhi più fiammeggianti delle bombe a mano e dei sorrisi più disarmanti dei bazooka. Due maschie  e quattro femmine si presentarono a casa della loro compagna quel sabato mattina di novembre. I due maschi rimasero in salotto (perché non sta bene che dei maschi entrino in camera di una ragazza appena sveglia!!) e rimasero nelle retrovie mentre l’avanguardia delle quattro femmine entrava in camera della compagna, alzava la serranda, faceva alzare dal letto la compagna la quale, tra il divertito e il diffidente, si vesti e li seguì docilmente.

“Andiamo a fare solo un giro, è da un sacco di tempo che non stiamo insieme.” le dissero per tranquillizzarla. Il commando militare fu così furbo che per non insospettirla si presentò a casa senza gli zaini dei libri. Uscirono. Tra una chiacchiera e una risata il gruppo si era avvicinato alla scuola. La compagna voleva battere in ritirata.  “Già che stiamo qui entra e saluta…poi semmai te ne vai…” Dopo qualche minuto di negoziazione il gruppo dei sei guerrieri  riuscì a far entrare la compagna in classe dove tutti l’accolsero con baci e abbracci, salutandola, dicendole che la stavano aspettando e che era mancata molto a tutti loro.

La ragazza rimase nella sua classe tutta la mattina, uscendo alle 13.30 con i suoi compagni, come se quei mesi di assenza non ci fossero mai stati. Da quel giorno, quella ragazza non saltò più in giorno di scuola. E dopo pochi mesi sostenne gli orali di terza media. E anche per lei si aprì la strada della vita.

E allora voglio dire a quei Sei Piccoli Guerrieri che hanno combattuto in nome dell’amicizia e del futuro: avete fatto una cosa grande. Grandissima. Non avete nemmeno voi idea di quanto grande sia ciò che avete fatto. Avete fatto un miracolo, siete riusciti in qualcosa in cui i grandi, dall’alto della loro onniscienza e della loro distrazione, non erano riusciti a fare. Un atto d’amore, di speranza, di sostegno. Lei si era perduta. E voi la siete andata a cercare, l’avete trovata e l’avete riportata sul sentiero. Lei vi ha seguito, forse perché aspettava solo questo. Forse aspettava solo di essere cercata. Di essere importante per qualcuno. E voi come i cani, i gatti e i pipistrelli che sentono suoni che l’uomo non sente, avete intercettato questo richiamo. E siete accorsi. Siate fieri di voi stessi ragazzi. Così come noi siamo fieri di voi. Non dei vostri voti. Di VOI.

Oggi questi sei combattenti sono cresciuti e sono entrati a far parte della gioventù di oggi. Questa gioventù nella quale dobbiamo e possiamo avere fiducia. Questa gioventù dal cuore grande e dalle poche certezze. Questa gioventù che, in un modo o nell’altro, riesce sempre a sorprenderci, a farci stare in ansia, a farci preoccupare… ma a stupirci con i loro colpi di coda proprio quando stavamo per perdere le speranze.

Grazie ragazzi. Buon cammino.

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